Da quando i sei ragazzi italiani sono morti in quel tragico attentato di Kabul, nei principali network italiani si è tornato a parlare prepotentemente della guerra in Afghanistan. Era ora, aggiungo io. Riporto con piacere un articolo scritto da Christian Rocca, a mio parere uno dei più lucidi giornalisti italiani in materia di politica internazionale statunitense, in cui si cerca di fare un po’ di luce sui primi mesi di Obama nel ruolo di Presidente degli Stati Uniti e di come si stia muovendo sul fronte bellico internazionale. Si tratta di un pezzo a mio avviso molto interessante.
Pugno di Bush in guanto di Obama
di Christian Rocca – 17 settembre 2009
Sì, la retorica è cambiata. Certo, i toni sono diversi. E, inoltre, la voce vellutata del nuovo presidente suscita emozioni forti e speranze di cambiamento sconosciute prima d’ora. Ma, riconosciuto tutto questo, che non è poco, la politica di sicurezza nazionale di Barack Obama è identica a quella elaborata da George W. Bush dopo l’11 settembre 2001. Non lo dice solo Osama bin Laden, o chi per lui, ma ogni singolo atto ufficiale della Casa Bianca al netto delle parole suadenti di super O. e del pensiero unico del giornalista collettivo. Obama è abilissimo a dipingersi come il leader che cancella il bushismo e capace di proporre politiche di netta cesura col passato, una per una poi plasticamente disattese. La Casa Bianca non parla più di guerra al terrorismo e non fa esplicito riferimento al jihadismo islamico. Ma oltre alle parole, ci sono i fatti. Negli ultimi due giorni, Obama ha compiuto due passi ufficiali che hanno spinto i più attenti paladini dei diritti civili e un paio di testate giornalistiche il cui obamismo è assoluto e militante, come la New York Review of Books e il magazine Slate, a decretare che sui temi della sicurezza nazionale non c’è alcuna differenza tra il presidente numero 43 e il numero 44.
Obama ha chiesto al Congresso di estendere tre dei punti più controversi del famigerato Patriot Act varato all’indomani dell’11 settembre e diventato nella mitologia progressista mondiale, grazie anche al film di Michael Moore, l’emblema della barbarie del diritto commessa da Bush. Ancora più clamorosa è la presa di posizione contro la decisione di un giudice federale, peraltro nominato da Bush, che qualche mese fa aveva esteso l’habeas corpus, cioè il diritto a essere sottoposti a un processo, anche ai prigionieri di Bagram, la base militare in Afghanistan che da anni svolge la funzione negata a Guantanamo dai riflettori dell’opinione pubblica mondiale. La Casa Bianca si è opposta alla decisione della Corte, spiegando dottamente che i detenuti di Bagram, a causa del loro status di nemici combattenti, non hanno alcun diritto di appellarsi a un giudice federale. “Sounds familiar”, dicono gli americani. Tanto più che il carcere di Guantanamo è ancora aperto e quello di Bagram più attivo che mai. I detenuti continueranno a essere processati dai tribunali militari speciali o non riceveranno alcuna garanzia giuridica. Dall’Iraq non s’è ritirato nessuno, e quando i soldati se ne andranno lo faranno secondo un calendario deciso da Bush e dal governo iracheno. In Afghanistan c’è già stata una prima escalation militare e a giorni se ne annuncia un’altra. Obama, inoltre, ha esteso il fronte della guerra al terrorismo ad altri paesi, bombardando 38 volte il territorio pachistano, provocando centinaia e centinaia di vittime, e una volta quello somalo. Alla stagione del dialogo con l’Iran – il vero punto di svolta rispetto al primo Bush, non all’ultimo – non crede più nessuno né dentro l’Amministrazione né tra i suoi sostenitori (per ultimi il New York Times e Joe Klein di Time).
Davvero complimenti a Rocca. Se seguite questo blog da qualche tempo, saprete che difficilmente riporto articoli apparsi in altre sedi… ma in questo caso, non mi sono potuto esimere, gli spunti di riflessione sono davvero molti.
Alla tua, Christian.
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